traditions

Tradition

Raku:
fra tradizione e attualità

Tradizione
non significa solo conservare e ripetere

La ceramica Raku è iniziata con Chôjirô, nel 16° secolo, durante l’epoca Momoyama. In quel tempo la città di Kyôto e nei suoi dintorni si cominciava a produrre un tipo di ceramica che usava lo smalto tricolore (san-sai) proveniente dalla regione cinese di Fuchien; Chôjirô era uno dei ceramisti che sapeva usare questo tipo di smalto. In alcuni documenti, è menzionato un cinese di nome Ameya, sebbene non sono pervenute sue opere, si ritiene che sia stato lui ad introdurre la tecnica della ceramica dei tre colori in Giappone, Ameya era il padre di Chôjirô. Sebbene la ceramica prodotta vicino a Kyôto e quella di Chôjirô appartengono alla stessa categoria di cottura, è completamente diverso il senso estetico che determina la forma e la tonalità dello smalto.

L’origine della ceramica e del nome Raku deriva dall’incontro tra Chôjirô e il Maestro Sen Rikyû, fondatore del cha-no-yu, la cerimonia del tè. E’ per il Maestro che Chôjirô iniziò a fare tazze da usare nel cha-no-yu. L’essenza di cha-no-yu è offrire una tazza di tè e berla. Alcuni maestri di questa cerimonia portarono il significato di questo semplice atto fino al campo vastissimo che spazia dall’architettura, all’arte di creare un giardino, all’artigianato, alla pittura, alla calligrafia, ecc.., e cercarono di approfondire, al di là del quotidiano, il valore della vita e il suo senso religioso e filosofico. Ancor oggi questo è un aspetto fondamentale della vita e della cultura giapponese. All’inizio la tazza fatta da Chôjirô era chiamata tazza “ima yaki” (cotta adesso). Nella sua contemporaneità era all’avanguardia, al di fuori dell’immagine tradizionale della tazza, in seguito prese il nome di “Juraku yaki” (ceramica Juraku), poi assunse il nome “Raku yaki” (ceramica Raku) o “Raku chawan” (tazza Raku) quando Toyotomi Hideyoshi, governatore del tempo, consegnò il timbro con l’ideogramma Raku a Chôjirô. Juraku deriva da “Jurakudai” il nome del castello, simbolo dell’epoca, costruito da Hideyoshi: designava la ceramica tenuta in grande considerazione a Juraku, nonché il nome dell’argilla prelevata in quella zona. Una errata interpretazione della ceramica Raku, deriva dalla traduzione del suo ideogramma che significa gioia comoda, semplice, questo porta a pensare che la ceramica Raku sia facile da realizzare, ma non è così.

In seguito, primo esempio nella storia del Giappone, Raku diventò il cognome della famiglia di Chôjirô, e oggi rappresenta nella storia della ceramica, la tradizione che si tramanda ininterrottamente nella stessa dinastia da oltre quattro secoli.

 

L’origine della ceramica Raku, ovvero la caratteristica tazza di Chôjirô, era basata sul senso estetico dato dalla monocromia nera e rossa, evitando il colore lucente caratteristico del san-sai (dei tre colori). Questa monocromia prende origine dalla filosofia del Wabi-cha (cerimonia del tè basata sul pensiero wabi), dal concetto Zen di mu (nulla) e da quello Taoista di mui-ji-nen (senza volontà, in modo spontaneo).

Il senso estetico simboleggiato dalla parola Wabi forma la base del pensiero del medioevo giapponese ed è anche il flusso che collega il Waka (poesia di trentun sillabe) il Renge (poesia in catena), il teatro Noh, ecc. Questo periodo molto speciale dell’arte giapponese che fa sua la ricerca spirituale, è in antitesi a quello del ‘700 e ‘800 giapponese ricco di senso decorativo, caratterizzato dall’uso di colori chiari e belli di cui esempio sono le pitture di scuola Kano, Rimpa e Ukiyo-e.

A differenza delle altre ceramiche giapponesi, la ceramica Raku non usa mai il tornio, vengono utilizzate soltanto le mani. L’utilizzo esclusivo delle mani permette la libera formazione secondo la sensibilità dell’artista, nello stesso tempo trasmette calore e sentimento. Le tazze create da Chôjirô negano questo fatto, andando al di là della creazione come espressione ideale.

La forte tensione del mondo magnetico della coscienza è più evidente quando tralascia il formale gusto decorativo e creativo, per immergersi nella serenità del monocolore. Il desiderio dell’artista di negare tutti gli sforzi creativici coinvolge e ci attira nell’avventura psicologica paradossale di esprimere la volontà di superare ogni espressione. Al di là di questa avventura che cosa cercava Chôjirô? Cosa possiamo trovare noi contemporanei? Questa direzione della coscienza espressiva pone ancor oggi, a quattrocento anni di distanza, una domanda nuova al nostro mondo spirituale.

La ceramica Raku viene tramandata da 15 generazioni così come fu ai tempi di Chôjirô. A differenza del “noborigama” (forno a più camere costruito su un pendio) che consente di produrre un gran numero di ceramiche Raku, usa il forno “uchigama” con mantice incorporato che permette la cottura di una singola tazza; questa viene estratta dal forno non appena lo smalto si scioglie ed è ancora incandescente. Questa tecnica è ora conosciuta in tutto il mondo. Continuare ad utilizzare la stessa tecnica non significa la semplice riproduzione della forma tradizionale; ispirandosi alla coscienza di ogni epoca essa brucia energia creativa. Come dice lo stesso Kichizaemon XV Raku: “La tradizione non è un semplice atto di custodire e ripetere”. Tutto dipende da cosa vuole intendere l’artista con coscienza e con tecnica tramandata come tradizione: avendo come base una consolidata tradizione è possibile creare una opera d’arte completamente nuova

I lavori di Maurizio Baldini si inquadrano così in una trasformazione di
forme tradizionali con un pizzico di toscanità per un aggiornamento costante di una tradizione raku.

 

Lo stile primitivo del raku, rivisto e indirizzato verso una funzionlità più moderna, si inserisce negli spazi ambientali odierni, facendone un complemento negli arredi e nellavita di tutti i giorni.